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SCIROCCO - SIGNORA BOVARY
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Ricordi le strade erano piene di quel lucido scirocco
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che trasforma la realtà abusata e la rende irreale,
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sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco
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e in via dei Giudei volavan velieri come in un porto canale.
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Tu dietro al vetro di un bar impersonale,
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seduto a un tavolo da poeta francese,
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con la tua solita faccia aperta ai dubbi
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e un po' di rosso routine dentro al bicchiere:
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pensai di entrare per stare assieme a bere
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e a chiaccherare di nubi...
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Ma lei arrivò affrettata danzando nella rosa
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di un abito di percalle che le fasciava i fianchi
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e cominciò a parlare ed ordinò qualcosa,
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mentre nel cielo rinnovato correvano le nubi a branchi
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e le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè
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e le mani disegnavano sogni e certezze,
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ma io sapevo come ti sentivi schiacciato
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fra lei e quell' altra che non sapevi lasciare,
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tra i tuoi due figli e l' una e l' altra morale
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come sembravi inchiodato...
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Lei si alzò con un gesto finale,
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poi andò via senza voltarsi indietro
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mentre quel vento la riempiva
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di ricordi impossibili,
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di confusione e immagini.
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Lui restò come chi non sa proprio cosa fare
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cercando ancora chissà quale soluzione,
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ma è meglio poi un giorno solo da ricordare
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che ricadere in una nuova realtà sempre identica...
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Ora non so davvero dove lei sia finita,
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se ha partorito un figlio o come inventa le sere,
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lui abita da solo e divide la vita
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tra il lavoro, versi inutili e la routine d' un bicchiere:
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soffiasse davvero quel vento di scirocco
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e arrivasse ogni giorno per spingerci a guardare
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dietro alla faccia abusata delle cose,
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nei labirinti oscuri della case,
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dietro allo specchio segreto d' ogni viso,
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dentro di noi...
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SIGNORE BOVARY - SIGNORA BOVARY
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Ma che cosa c'è in fondo a quest' oggi
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di mezza festa e di quasi male,
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di coppie che passano sfilacciate
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come garze stese contro il secco cielo autunnale,
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di gente che si frantuma in un fiato
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senza soffrire, senza capire
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e i tuoi pensieri sono solo uno iato
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tra addormentarsi e morire...
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Ma che cosa c'è in fondo a questa notte,
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quando l' ora del lupo guaisce
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e il nuovo giorno non arriva mai, mai
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e il buio è un fischio lontano che non finisce
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di minuti lunghi come il sudore,
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di ore che tagliano come falci
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e i tuoi pensieri solo un cane in chiesa
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che tutti prendono a calci...
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Ma cosa c'è, cosa c'è...
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atrii a piastrelle di stazioni secondarie,
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strade più strade di avventure solitarie,
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clown nella notte,
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valigie vuote,
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piene di trucchi per tragedie immaginarie...
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...telecomandi per i quotidiani inferni,
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battute argute di architetti postmoderni,
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amanti andate,
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piaceri a rate,
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pallottolieri per contare estati e inverni...
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Ma che cosa c'è proprio in fondo in fondo,
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quando bene o male faremo due conti,
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e i giorni goccioleranno come i rubinetti nel buio
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e diremo "...un momento, aspetti..." per non essere mai pronti,
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signora Bovary, coraggio, pure
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tra gli assassini e gli avventurieri,
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in fondo a quest' oggi c'è ancora la notte,
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in fondo alla notte c'è ancora, c'è ancora....
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VAN LOON - SIGNORA BOVARY
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Von Loon, uomo destinato direi da sempre ad un lavoro più forte
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che le sue spalle o la sua intelligenza non volevano sopportare
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sembrò quasi baciato da una buona sorte
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quando dovette andare;
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sembra però che non sia mai entrato nella storia,
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ma sono cose che si sanno sempre dopo,
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d' altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere
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neanche all' aquila o al topo;
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poi un certo giorno timbra tutto un avvenire
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od una guerra spacca come una sassata,
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ma ho visto a volte che anche un topo sa ruggire
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ed anche un' aquila precipitata...
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Quanti anni, giorno per giorno, dobbiamo vivere con uno
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per capire cosa gli nasca in testa o cosa voglia o chi è,
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turisti del vuoto, esploratori di nessuno
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che non sia io o me;
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Von Loon viveva e io lo credevo morto
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o, peggio, inutile, solo per la distanza
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fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d' allora,
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la mia ignoranza:
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che ne sapevo quanto avesse navigato
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con il coraggio di un Caboto fra le schiume
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di ogni suo giorno e che uno squalo è diventato,
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giorno per giorno, pesce di fiume...
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Von Loon, Von Loon,
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che cosa porti dentro, quando tace
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la mente e la stagione si dà pace?
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Insegui un' ombra o quella stessa pace l' hai in te?
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Vorrei sapere
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che cosa vedi quando guardi attorno,
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lontani panorami o questo giorno
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è già abbastanza, è come un nuovo dono per te?
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Von Loon, Von Loon,
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a cosa pensi in questo settembrino
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nebbieggiare alto che macchia l' Appennino,
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ora che hai tanto tempo per pensare, ma a chi?
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Vai, vecchio, vai,
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non temere, che avrà una sua ragione
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ognuno ed una giustificazione,
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anche se quale non sapremo mai, mai!
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Ora Von Loon si sta preparando piano al suo ultimo viaggio,
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i bagagli già pronti da tempo, come ogni uomo prudente,
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o meglio, il bagaglio, quello consueto, di un semplice o un saggio,
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cioè poco o niente
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e andrà davvero in un suo luogo o una sua storia
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con tutti i libri che la vita gli ha proibito,
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con vecchi amici di cui ha perso la memoria,
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con l'infinito,
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dove anche su quei monti nostri è sempre estate,
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ma se uno vuole quell' inverno senza affanni
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che scricchiolava in gelo sotto le chiodate scarpe di un tempo,
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dei suoi diciottanni,
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dei suoi diciottanni...
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CULODRITTO - SIGNORA BOVARY
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Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti
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e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,
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ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare
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e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare...
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Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari
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di longobardi, di celti e romani dell' antica pianura, di montanari,
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reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
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di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi,
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anche se non avrai le mie risse terrose di campi, cortile e di strade
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e non saprai che sapore ha il sapore dell' uva rubato a un filare,
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presto ti accorgerai com'è facile farsi un' inutile software di scienza
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e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza...
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Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
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e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica, Culodritto...
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dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto
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per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto;
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vola, vola tu, dov' io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
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e dove è ancora tutto, o quasi tutto...
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vola, vola tu, dov' io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
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e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare..
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KEATON - SIGNORA BOVARY
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Lo chiamavamo Keaton quel pianista,
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naturalmente perchè non sorrideva mai,
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mentre noi ci ammazzavamo di risate
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a vederlo là, come un parafulmine, dritto contro un cielo di guai;
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guai di tasca a violoncello, guai d' amore,
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guai da vita distratta e disperata
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che ricamavano dentro al suo stupore
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una tela affascinante, ma un po' troppo delicata...
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Keaton si presentò come un jazzista,
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appassionato e puro, in stile Rete Tre,
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coi pregiudizi di chi si sente artista
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perchè non faceva soldi, lui, con le canzoni, come me,
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ma non mi accompagnava poi malvolentieri,
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eravamo due grandi acrobati della malinconia
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e poi, poi dobbiamo farne di mestieri
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noi che viviamo della nostra fantasia...
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Parlavamo poi molto in quelle sere,
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in qualche bar, dopo il concerto, insonni e morti,
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di politica, ciclismo, storie vere
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e di come i "Weather Report" erano forti
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e di come era importante fra la gente
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non essere solo musica e parole
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e di come era importante che la gente
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non fosse una massa di persone sole...
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Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
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Sei poi andato in malora, Keaton?
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Lo sai che ti sto venendo a cercare?
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Keaton, ah, Keaton, perchè stanotte, Keaton,
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proprio stanotte, Keaton, avrei bisogno di sentirti suonare...
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S' illuminava poi come di colpo
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lungo l' effimero consueto di una sera,
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s' illuminava di una gioia grande
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quando si avvicinava a una tastiera
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e preferiva quelle un poco usate,
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quelle in cui tutti mettono le mani,
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quelle ingiallite dal tempo, un po' scordate
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dall' ignoranza e dalla passione degli umani...
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E poi una volta abbiamo litigato
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per una donna prima sua e poi mia,
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lui coi suoi guai, io col mio quasi peccato,
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sconfitti entrambi dalla gran malinconia;
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ci siamo persi quasi senza una parola,
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ma tutti e due con più rabbia che rimpianto,
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come i bambini che si fan dispetti a scuola,
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come due vecchi che si sono amati tanto...
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Poi ho provato a rintracciarlo dappertutto,
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chiedendo a più d' un dirigente supponente,
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telefonando all'Arci-caccia, all'Arci-tutto,
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ma di Keaton sembra non sia rimasto niente.
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Se se ne parla è nel ricordo di un momento,
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qualcuno dice che l' ha visto, ma lontano,
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e tutti, tutti con un gran sorriso spento
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come per dire: "Era un ragazzo troppo strano".
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Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
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Se mi vedessi col mio trench stile Bogart, Keaton,
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sotto la pioggia che ti vengo a cercare...
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Keaton, ah, Keaton, perchè mi manca, Keaton,
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questa notte mi manca la tua voglia di star qui a suonare...
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E finalmente un chissacchì non mi delude,
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forse, però non sa, probabilmente,
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è in una provincia lontana come una palude
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dai nostri discorsi di suonare fra la gente;
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una provincia come una sconfitta,
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meno che essere una minoranza dignitosa,
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e una palude è certo troppo fitta
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di voli di zanzara per suonarci qualche cosa....
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Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,
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anche se è contento di vedermi.
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"Sembrava facile toccarlo con un dito", dice,
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"ma il cielo ci ha voluto tutti fermi".
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E finalmente ride, ma ride tanto ed è ingrassato
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e giura troppo che non sta poi male,
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il jazz ormai se l' è dimenticato:
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ci son parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale...
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E nel lasciarmi all' inizio della sera:
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"E' come", dice, "alla fine del cinema muto,
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c'è il sonoro, non serve una tastiera..."
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Ci salutiamo nel silenzio più assoluto...
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Ed esco fuori con i miei giornali
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e non ho voglia di ridere per niente,
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ho un treno che mi aspetta alla stazione,
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mi dà fastidio anche il rumore della gente...
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Ah, Keaton, Keaton!
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Keaton, quello vero, l' ultima volta che l' hanno visto passeggiava
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lungo le strade e per il vento di Roma
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durante le pause di un film con Franchi e Ingrassia.
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Aveva in corpo mille litri di alcool,
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la faccia la solita, senza allegria;
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si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara
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alla faccia della cirrosi epatica,
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perchè lui ci teneva al suo pubblico,
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più che al suo fegato,
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e gli elettricisti sono gente simpatica;
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gli urlavano infatti "anvedi s'è forte 'sto Keaton!",
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bevendo il bianco misterioso dei colli di Roma
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o quello forte del sud che fa assaggiare l' infinito
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a tutta la gente di bocca buona...
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LE PIOGGIE D'APRILE - SIGNORA BOVARY
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Ma dove sono andate quelle piogge d' aprile che in mezz' ora lavavano un' anima o una strada
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e lucidavano in fretta un pensiero o un cortile bucando la terra dura e nuova come una spada?
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Ma dove quelle piogge in primavera quando dormivi supina, e se ti svegliavo ridevi,
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poi piano facevi ridere anche me con i tuoi giochi lievi?
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Ma dove quelle estati senza fine, senza sapere la parola nostalgia,
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solo colore verde di ramarri e bambine e in bocca lo schioccare secco di epifania?
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Ma dove quelle stagioni smisurate quando ogni giorno figurava gli anni a venire
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e dove a ogni autunno quando finiva l' estate trovavi la voglia precisa di ripartire?
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Che ci farai ora di questi giorni che canti, dei dubbi quasi doverosi che ti sono sorti
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dei momenti svuotati, ombre incalzanti di noi rimorti,
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che ci potrai fare di quelle energie finite, di tutte quelle frasi storiche da dopocena;
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consumato per sempre il tempo di sole e ferite,
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basta vivere appena, basta vivere appena...
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E ora viviamo in questa stagione di mezzo, spaccata e offesa da giorni agonizzanti e disperati,
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lungo i quali anche i migliori si danno un prezzo e ti si seccano attorno i vecchi amori sciagurati,
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dove senza più storia giriamo il mondo ricercando soltanto un momento sincero,
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col desiderio inconscio di arrivare più in fondo per essere più vero...
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Ma dove sono andate quelle piogge d' aprile? Io qui le aspetto come uno schiaffo improvviso,
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come un gesto, un urlo o un umore sottile fino ad esserne intriso,
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io chiedo che cadano ancora sul mio orizzonte angusto e avaro di queste voglie corsare,
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per darmi un'occasione ladra, un infinito o un ponte per ricominciare...
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CANZONE DI NOTTE N 3 - SIGNORA BOVARY
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Esistenza, che stai qui di contrabbando,
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come un ladro sempre pronta per fuggire,
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ogni età chiude in sé i crismi dello sbando, sbaglio e intuire,
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coi suoi giochi di carambola e rimando, prendere e offrire,
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ma si muoia solo un po' di quando in quando,
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ma sia poco a poco che si va a morire...
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Ogni giorno è un altro giorno regalato,
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ogni notte è un buco nero da riempire,
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ma per quanto non l' ho mai visto colmato, così per dire,
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resta solo l' urlo solito gridato, tentare e agire,
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ma si pianga solo un po' perchè è un peccato
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e si rida poi sul come andrà a finire...
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Lo capisco se mi prendi per le mele,
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ma ci passo sopra, gioco e non mi arrendo,
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ogni giorno riapro i vetri e alzo le vele, se posso prendo,
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quando perdo non sto lì a mandar giù fiele e non mi svendo
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e poi perdere ogni tanto ci ha il suo miele
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e se dicono che vinco stan mentendo
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perchè quelle poche volte che busso a bastoni,
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mi rispondono con spade o con denari,
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la ragione diamo e il vincere ai coglioni, oppure ai bari,
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resteremo sempre a un punto dai campioni (tredici è pari),
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ma si perda perchè siam tre volte buoni
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e si vinca solo in sogni straordinari...
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Ah, quei sogni, ah, quelle forze del destino
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che chi conta spingerebbe a rinnegare,
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ci hanno detto di non fare più casino, non disturbare:
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canteremo solo in modo clandestino, senza vociare,
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poi ghignando ce ne andremo pian pianino
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per sederci lungo il fiume ad aspettare...
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Quello che mi gira in testa questa notte
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son tornato, incerta amica, a riferire,
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noi immergenti, noi con fedi ed ossa rotte, lasciamo dire:
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ne abbiam visti geni e maghi uscire a frotte per scomparire...
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Noi, se si muore solo un po' chi se ne fotte,
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ma sia molto tardi che si va a dormire...
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